Quando una donna scopre di essere in dolce attesa, le prime settimane sono di confusione più totale: la gioia spesso prende il sopravvento, si comunica la notizia ad amici e parenti (nel caso non si scelga di attendere “per precauzione” il terzo mese) e si fanno le prime analisi e la prima ecografia, che solitamente non mostra altro che il sacco vitellino, la camera gestazionale e l’embrione nelle primissime fasi di sviluppo. Successivamente, tra le settima e la decima settimana, ci sarà anche l’emozionante possibilità di ascoltare per la prima volta il battito cardiaco del feto: un momento da sempre molto atteso dalle future mamme e dai futuri papà.
Come procede poi l’iter della gravidanza? Naturalmente bisogna attenersi alle indicazioni del ginecologo di fiducia ma, in linea di massima, i neo genitori dovranno prendere la prima – di molte – decisioni di cui dovranno farsi carico durante questo bellissimo percorso: quale esame di screening diagnostico prenatale fare, per accertarsi della salute del feto.
Negli ultimi decenni infatti le tecniche scientifiche con cui indagare, fin dalle prime settimane di gestazione, sul livello di salute del bambino si sono evolute in maniera esponenziale: basti pensare che fino a poco meno di 50 anni fa le donne davano alla luce i loro pargoli senza nemmeno aver effettuato un’ecografia e senza sapere nemmeno il sesso del nascituro. Oggi invece è possibile scongiurare le alterazioni cromosomiche del feto – ed in particolare quelle relative alla Sindrome di Down (trisomia 21) e la Sindrome di Edwards (trisomia 18) – con diverse tipologie di esami prenatali. Scopriamo insieme quali sono e che differenze ci sono tra i diversi test diagnostici che è possibile effettuare.
Bi test
Il bi-test è un test di screening prenatale che si esegue piuttosto precocemente, tra l’undicesima e la quattordicesima settimana di gravidanza. Il nome bi-test è dato dal fatto che questo esame analizza due ormoni presenti nel sangue materno, attraverso un semplice prelievo di sangue, che possono dare indicazione sulla “salute” della placenta. Grazie a queste indicazioni, che sono però puramente probabilistiche, si possono avere informazioni su eventuali anomalie cromosomiche ed in particolare sulla Sindrome di Down. Il bi-test ha un’affidabilità che si aggira tra il 70 e il 90%, ma va sempre considerato come un test di screening e non diagnostico: questo significa che vengono identificate donne con un basso rischio di malformazioni fetali e donne con un alto rischio: nel secondo caso bisogna per forza procedere con test diagnostici invasivi come amniocentesi e villocentesi, per andare a fondo alla questione. Nei gruppi che vengono considerati “ad alto rischio” rientra anche una percentuale di cosiddetti “falsi positivi”, che si aggira intorno al 5%. Il bi-test non presenta alcun rischio né per la mamma né per il bambino.
Translucenza nucale
Questo esame si effettua nella stessa epoca gestazionale del bi-test e solitamente viene fatto proprio in concomitanza con esso: l’abbinamento e relativo confronto tra i risultati dei due test permette infatti un’affidabilità maggiore. La translucenza nucale può essere effettuata in regime di SSN, ma va prenotata con larghissimo anticipo poiché va fatta tassativamente entro la quattordicesima settimana di gravidanza. Essa consiste in una semplice ecografia, che però misura l’accumulo di fluido dietro la nuca del bambino: quando sono presenti anomalie cromosomiche o malformazioni infatti, lo spessore della translucenza nucale è superiore ai 2,5mm. Oltre allo spessore nucale, la translucenza analizza anche il profilo facciale del feto, comprensivo dell’osso nucale: anche in questo caso dei parametri superiori alla norma richiederebbero sicuramente approfondimenti con test diagnostici invasivi.
Test del DNA fetale
Questo esame si presenta con nomi differenti, a seconda del laboratorio che lo esegue: può essere chiamato Multiprenatal test, Prenatal Safe, Aurora, Tranquillity Test o semplicemente Test del DNA fetale. E’ uno dei test di screening più innovativi ed accurati, ed anche più costosi: il prezzo oscilla tra i 500 e i 700 euro. La sua attendibilità è del 99%, sebbene sia anch’esso un test di screening e non diagnostico. Esso analizza le cellule di DNA del feto presenti nel sangue materno e, tramite esse, riesce ad individuare l’eventuale presenza di anomalie cromosomiche, in particolare per la Trisomia 18 (Sindrome di Edwards), Trisomia 21 (Sindrome di Down) e Trisomia 13 (Sindrome di Patau). Il test del DNA fetale avviene con un semplice prelievo di sangue effettuato sulla neo mamma e i risultati si ottengono in circa 2 settimane, poiché le provette vengono spedite all’estero – solitamente in Svizzera – visto che in Italia non vi sono ancora strutture in grado di eseguire questo esame. Può essere eseguito dalla decima settimana di gestazione e garantisce anche di conoscere, se i genitori lo desiderano, il sesso del nascituro, con un’elevatissima percentuale di affidabilità, che si aggira anch’essa intorno al 98-99%. Esistono due livelli di Test del DNA fetale, il primo cosiddetto “base”, che individua solo le tre principali anomalie cromosomiche e un secondo livello cosiddetto “intermedio”, che individua anche alterazioni minori, come le microdelezioni.
Amniocentesi e villocentesi
Amniocentesi e villocentesi sono attualmente gli unici due esami che garantiscono di ottenere risultati CERTI su eventuali anomalie cromosomiche e patologie che interessano il feto. Questi due esami infatti possono indagare non solo sulle malattie cromosomiche, ma anche su patologie genetiche: è importante svolgere questo tipo di esami quando sono già presenti in famiglia casi specifici di una o più malattie, come ad esempio la talassemia o la fibrosi cistica. Il ginecologo o genetista sapranno sicuramente consigliare l’esame più indicato. L’amniocentesi consiste in un prelievo di liquido amniotico, effettuato con un ago inserito nella pancia della neo mamma, mentre viene effettuata un’ecografia per valutare la posizione del feto. La villocentesi invece consiste in un prelievo dei villi coriali placentari, da cui possono essere estrapolate molteplici informazioni riguardo il feto. Ma perché, se questi due esami sono gli unici in grado di garantire dei risultati diagnostici certi, tutte le neo mamme non ricorrono ad essi? Perché questi due test sono invasivi: questo significa che c’è un minimo rischio di aborto. Per l’amniocentesi la percentuale di rischio è di 0,5% (uno su 200), mentre per la villocentesi è dell’1% (1 su 100). Nonostante le tecnologie con cui vengono effettuati questi due esami si siano enormemente evolute negli ultimi anni, è importante sapere che il rischio di aborto non può essere considerato nullo. Inoltre, sono due esami che possono essere effettuati in regime di SSN solo se la neo mamma ha superato i 35 anni di età, naturalmente sempre prenotandoli tramite CUP mesi e mesi prima: in caso di mamme più giovani, il costo di un’amniocentesi completa presso un laboratorio privato può arrivare anche a 1300/1400 euro.
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