Il dibattito su quale sia l’età giusta per mandare il proprio piccolo al nido è sempre molto acceso tra le mamme: molto spesso questa è l’unica alternativa possibile, visto che la legge italiana continua a prevedere solo ed esclusivamente tre mesi dopo il parto (quattro, nel caso sia stato possibile lavorare fino all’ottavo mese di gravidanza) per prendersi cura dei neonati, stando a casa a stipendio pieno. Nonostante anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità consigli di allattare i piccoli al seno fino almeno ai sei mesi di vita, bisogna fare i conti con la triste realtà: se in paesi del Nord Europa come Svezia e Finlandia le tutele per le neomamme durano 24 o perfino 36 mesi, in Italia le cose sono ben diverse e non sempre si hanno a disposizione i nonni o la possibilità di assumere una baby sitter a tempo pieno. Ad onor del vero c’è da dire che, dopo i tre mesi dalla data del parto a stipendio pieno, è possibile prendere il cosiddetto “congedo parentale”: ma quante mamme possono permettersi di stare qualche altro mese a casa, percependo solo il 30% dello stipendio? Le alternative al riguardo sono molto poche: se si è fortunati e si può beneficiare dell’aiuto dei nonni, i piccoli possono essere lasciati a loro per le ore in cui la mamma è costretta a tornare al lavoro. Altrimenti le uniche soluzioni sono una baby sitter a pagamento oppure l’asilo nido.
Ma qual è l’età più “sana” per mandare i piccoli al nido? Cerchiamo di capirlo insieme, analizzando varie correnti di pensiero.
L’età più giusta per il nido
Non c’è un’età più “giusta” per mandare i bimbi al nido: alcuni esperti psicoterapeuti infantili sostengono che fino ai 18 mesi i piccoli non dovrebbero abbandonare ancora il contesto familiare, composto dai genitori e dai parenti più prossimi, come ad esempio i nonni materni e paterni. La spiegazione che viene fornita riguarda la capacità dei piccoli di interagire con i loro pari età, che si svilupperebbe proprio intorno all’anno e mezzo di vita: prima di questa data il bambino è completamente dipendente dalla madre e un distacco precoce potrebbe turbarlo e interrompere il contatto fisico costante che c’è stato fino a quel momento tra le mura domestiche.
Altre correnti di pensiero, tra cui rientrano i pareri di molte maestre di asilo nido, sostengono invece che l’età ideale per “far spiccare il volo” ai piccoli sia subito dopo lo svezzamento, cioè tra i sette e gli otto mesi: in questo modo si possono gestire al meglio le poppate, integrate anche da altri tipi di alimenti, somministrati magari proprio al nido. Inoltre i bimbi cominciano ad essere più curiosi e stimolati anche dai loro pari età e da oggetti e giocattoli colorati.
Consigli utili
Naturalmente solo i genitori possono scegliere l’alternativa più giusta per il proprio piccolo e molto spesso tale scelta viene fatta più per necessità che per convinzione vera e propria. Non possiamo certo dirvi quale siano le “linee guida” da seguire, primo perché non ce ne sono e poi anche perché ogni bambino ha una storia tutta sua: se alcuni riescono ad integrarsi già da piccolissimi ad un contesto diverso da quello familiare, per altri l’inserimento risulta molto complicato.
Ci sono però dei consigli da seguire, validi per i piccoli di tutte le età: il primo è quello che riguarda la gradualità con cui avviene il distacco dalla mamma. L’inserimento al nido va fatto in maniera molto lenta, senza pressioni: la mamma deve rendersi disponibile e collaborare con le maestre, per far percepire costantemente al piccolo amore e “presenza”, nonostante egli sia lasciato “solo” per diverse ore. E’ importante anche non cambiare le abitudini “casalinghe”: il bambino deve comprendere che, sebbene al mattino venga portato per qualche ora all’asilo nido, nulla si è modificato in casa e nel rapporto familiare con mamma e papà.
E’ molto importante, infine, che i genitori scelgano l’alternativa del nido con convinzione e consapevolezza: anche se si decide di mandare il piccolo al nido per necessità, il bambino deve percepire che mamma e papà credono in questa scelta. E’ fondamentale optare per una struttura che si ritiene all’altezza, che ispiri fiducia e il cui personale sia preparato nel migliore dei modi: se ogni mattina la neomamma si sente tranquilla e serena nell’accompagnare il piccolo al nido, egli lo percepirà e sarà a sua volta più sereno e pronto al distacco. Al contrario, se anche i genitori porteranno il bebè al nido controvoglia e pieni di sensi di colpa, l’inserimento sarà molto più difficile perché i piccoli percepiranno lo stato di ansia e frustrazione. Ogni scelta va quindi fatta con convinzione e serenità, per poter trasmettere questi stati d’animo positivi anche ai piccoli.
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mandare i lattanti al nido prima dei 3/4 anni è in molti casi una scelta obbligata! dettata da problematiche lavorative dei genitori. I genitori che pensano che i proprio figli prima di quell’età stiano bene in quelle strutture, lo pensano solo ed esclusivamente per alleviare il loro senso di colpa nei confronti del bambino. Si autoconvincono che il lattante è felice per poter andare a lavoro piu leggeri e se poi si verifica che la notte il bimbo non dorme o non vuole mangiare, strilla angosciato la mattina quando caldo caldo deve abbandonare il suo lettino per andare al nido. Come possono i genitori continuare a pensare che nonostante questi segnali di irrequietezza, il pargoletto è felice di andare al nido? Sotto i 3/4 anni sono ancora troppo fragili. Non metteteli al mondo se non potete occuparvene a tempo pieno. Eviterete sofferenze sia a voi stessi che soprattutto a loro.
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